domenica 12 agosto 2012

Riforma del mercato del lavoro: cosa cambia (studiocarlomussi)

Riforma del mercato del lavoro: cosa cambia:

Il 18 luglio 2012 è entrata in vigore la Legge n. 92/2012 di riforma del mercato del lavoro ( a questo link trovate il testo integrale del Disegno di Legge presentato dal ministro del lavoro e delle politiche sociali Elsa Fornero).

Il provvedimento apporta importanti modifiche a tutto il mercato del lavoro, dalle tipologie contrattuali alla disciplina dei licenziamenti, dagli ammortizzatori sociali agli strumenti di incentivazione all’assunzione.

Il punto più dibattuto e controverso è stato senza ombra di dubbio l’Articolo18 dello Statuto dei Lavoratori.  

Prima della riforma l’art.18 obbligava i datori di lavoro con più di 15 dipendenti, in caso di sentenza che dichiara l’illegittimità del licenziamento, a reintegrare il lavoratore sul posto di lavoro. Per le aziende invece con meno di 15 dipendenti, il lavoratore illegittimamente licenziato poteva chiedere solo il risarcimento del danno.

La novità sostanziale interessa l’abolizione del reintegro automatico e la sua sostituzione in alcuni casi con un semplice risarcimento economico. Con la nuova legge varata dal Governo, sono state previste tre tipologie di licenziamento: discriminatorio, economico e disciplinare.


LICENZIAMENTI DISCRIMINATORI: COSA CAMBIA

Prima della Riforma
L’art. 18 condannava il datore di lavoro (con qualsiasi numero di dipendenti) alla riassunzione del dipendente, al risarcimento di un minimo di 5 mensilità e al versamento dei contributi arretrati.

Dopo la Riforma
Il lavoratore, nel caso in cui il giudice annulli il licenziamento, avrà ora, in più, la possibilità di optare al posto del reintegro, per un eventuale indennizzo da parte del datore di lavoro. L’indennità prevista è commisurata all’ultima retribuzione percepita dal momento del licenziamento fino all’effettivo reintegro sul posto di lavoro. Il lavoratore, in alternativa al reintegro, ha la facoltà di richiedere il pagamento di 15 mensilità, con pena la risoluzione del rapporto di lavoro.

LICENZIAMENTI DISCIPLINARI: COSA CAMBIA

Prima della Riforma:
Il Licenziamento Disciplinare è quello determinato da condotte gravi del lavoratore, tali da far ledere il rapporto di fiducia con il datore di lavoro. Fino ad ora il licenziamento doveva avvenire:

- per giusta causa, cioè per condotte di particolare gravità che pregiudicano il rapporto di fiducia tra azienda e lavoratore (es. furto, rifiuto di lavorare ecc.)

- per giustificato motivo soggettivo, cioè per condotte meno gravi ma che rendono difficile la prosecuzione del rapporto di lavoro (es. violazioni disciplinari).

Se il giudice reputava la non sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo dichiarava illegittimo il licenziamento in base all’articolo 18 e richiedeva il reintegro sul posto di lavoro.


Dopo la Riforma:
Per i Licenziamenti Disciplinari, i requisiti rimangono gli stessi, ma sarà il Giudice a decidere sul reintegro e/o risarcimento e la decisione dovrà basarsi non più solo sulla legge ma anche sui contratti collettivi.

In altre parole con la Riforma ci sarà minore discrezionalità del giudice nella scelta del reintegro. Maggiore valore assumono le tipizzazioni contrattuali che, prima della riforma del lavoro, avevano un valore esclusivamente esemplificativo e non esaustivo ai fini di individuare condotte disciplinari da sanzionare con il licenziamento. La riforma attuale prevede, una volta accertata l’inesistenza del giustificato motivo soggettivo del licenziamento, la risoluzione del contratto ed obbliga il datore di lavoro a versare un‘indennità tra 15 e 24 mensilità. Inoltre nel caso in cui il giudice accerti che il fatto contestato non sia stato commesso, dispone al reintegro e all’indennità a favore del lavoratore pari a quanto dovutogli dal momento in cui è stato licenziato.


LICENZIAMENTI ECONOMICI: COSA CAMBIA

Prima della Riforma:
Il licenziamento economico non dipende dalla condotta del lavoratore ma da “ragioni inerenti all’attività produttiva” (es. crisi aziendali, outsourcing, chiusura dell’attività ecc.). Fino ad ora, anche in questo caso l’insussistenza del requisito valido faceva scattare il reintegro. Vediamo cosa cambia.

Dopo la Riforma:
Se il giudice accerta che non ricorrono gli estremi del “giustificato motivo oggettivo”, non è più tenuto a riconoscere il diritto al reintegro, ma può ordinare solo il risarcimento al lavoratore con un indennizzo da 15 a 24 mensilità (anche per le aziende con più di 15 dipendenti). Il reintegro del lavoratore sul proprio posto di lavoro accade solo nel caso in cui la decisione del datore appaia manifestatamente infondata (in caso di insussistenza del fatto: ossia il datore di lavoro licenzia il dipendente per motivi economici, quando in realtà questi non sussistono).

Inoltre viene introdotta un nuova procedura di conciliazione preventiva obbligatoria per le aziende soggette alla Art 18 , le quali vogliano intimare un licenziamento economico: esso deve essere preceduto da una comunicazione al Dtl con il quale il datore di lavoro comunica l’intenzione a procedere al licenziamento per motivo oggettivo (economico), ed indica i motivi, ed illustra eventuali misure di ricollocazione.

Dopo l’avvenuta comunica , il Dtl convoca entrambe le parti in un periodo di soli 7 giorni dall’invio . Durante l’incontro alla presenza delle rispettive assistenze legali sindacali, le parti esaminano le soluzioni alternative al licenziamento. Tutta la procedura si conclude in un periodo di 20 giorni dalla data d’invio della convocazione Dtl, la quale può essere prorogata per legittimo impedimento del lavoratore ad un massimo di 15 giorni.

Andiamo ora ad analizzare cosa cambia nei singoli contratti di lavoro.

Contratto a tempo determinato
Sono state introdotte delle norme più severe per contrastare l’abuso dei contratti a termine. La durata del primo rapporto a tempo determinato tra azienda e lavoratore, non prorogabile, dovrà essere di 12 mesi e il contratto potrà essere sottoscritto senza la necessità di ricondurlo ad una delle motivazioni del c.d. “causalone” (ragione di carattere tecnico,produttivo,organizzativo o sostitutivo). La pausa tra un contratto e l’altro non potrà essere inferiore a 60 giorni (prima della riforma 10) per i contratti di durata inferiore a 6 mesi e non potrà essere inferiore a 90 giorni (prima della riforma 20) per quelli di durata superiore.

In base alla normativa vigente prima della Riforma, per quanto riguarda la prosecuzione del rapporto di lavoro oltre i termini, nell’ambito di un contratto a termine di durata inferiore a 6 mesi si opera la trasformazione a tempo indeterminato se prosegue dopo il 20° giorno dalla scadenza ovvero, nei contratti di durata pari o superiore a sei mesi, dopo il 30° giorno.

La Riforma prevede ora che la trasformazione operi, rispettivamente, dopo il 30° e dopo il 50° giorno, riconoscendo al lavoratore una maggiorazione contributiva. In tali ipotesi, il datore di lavoro ha l’onere di comunicare al Centro per l’impiego territorialmente competente, entro la scadenza del termine inizialmente fissato, che il rapporto continuerà oltre tale termine, indicando altresì la durata della prosecuzione.

Infine, si prevede che nel computo dei 36 mesi di durata massima del contratto, si debba tener conto anche dei periodi di somministrazione, svolti tra azienda e lavoratore ai sensi del comma 4, art.20, d.lgs. 276/03.

Dal 1° gennaio 2013 verrà introdotta un’aliquota contributiva aggiuntiva, nella misura dell’1,4% , non dovuta per i contratti a termine per ragioni sostitutive o per lo svolgimento di attività stagionali.


Contratti di inserimento
Questa tipologia contrattuale viene di fatto cancellata dall’attuale riforma con l’abrogazione degli articoli 54, 55, 56, 57, 58 e 59 del d.lgs. 276/03.

Apprendistato

I nuovi contratti di apprendistato avranno una durata minima non inferiore a 6 mesi, fatti salvi i casi di “apprendistato stagionale”. Con la Riforma, dal 1° gennaio 2013, il rapporto tra apprendisti e lavoratori qualificati, assunti nella stessa azienda, per aziende fino a 10 dipendenti rimane invariato: 1 a 1. Negli altri casi, il rapporto viene elevato a 3 a 2, ossia tre apprendisti ogni due lavoratori qualificati. Per le aziende con alle proprie dipendenze 10 o più unità, la norma introduce poi un vincolo: l’assunzione di nuovi apprendisti è subordinata alla prosecuzione del rapporto di lavoro al termine del periodo di apprendistato, nei 36 mesi precedenti la nuova assunzione, di almeno il 50% (ma la percentuale è ridotta al 30% per i primi 3 anni di vigenza della norma) degli apprendisti dipendenti dallo stesso datore di lavoro. E’ dovuta anche l’aliquota Aspi nella misura dell’ 1,31%.

In caso di mancata stabilizzazione è dovuto all’Inps un contributo pari al 50% dell’indennità Aspi per ogni 12 mesi di apprendistato (il contributo non è dovuto per dimissioni o recesso per giusta causa).


Tirocini formativi

Si rimanda all’azione congiunta di Governo e Regioni/Province autonome di Trento e di Bolzano la definizione di linee-guida condivise in materia di tirocini formativi. Le aziende non potranno più realizzare stage gratuiti, ma va riconosciuta al tirocinante una congrua indennità, anche in forma forfettaria, in relazione alla prestazione svolta. I trasgressori, in base alla gravità dell’illecito commesso, rischiano una sanzione variabile da un minimo di 1.000 a un massimo di 6000 euro.


Lavoro a chiamata

Prima dell’inizio della singola prestazione lavorativa o di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a 30 giorni (le c.d. “chiamate”), il datore di lavoro è tenuto a comunicarne la durata delle prestazioni (ovvero i giorni di prevista chiamata) alla Direzione territoriale del lavoro competente per territorio, mediante sms, fax o posta elettronica. Il datore di lavoro che ometta questa comunicazione preventiva è passibile di sanzione amministrativa di importo compreso da 400 a 2.400 euro per ogni lavoratore.

Part time

Cambia la disciplina delle clausole elastiche e flessibili: i CCNL disciplineranno a quali condizioni e con quali modalità il lavoratore potrà chiedere di modificare le clausole flessibili od elastiche che caratterizzano il suo contratto. I lavoratori affetti da particolari patologie nonché i lavoratori studenti possono revocare il consenso alla prestazione di lavoro reso secondo clausole elastiche o flessibili.


Contratto a progetto

Con la nuova riforma, vengono poste delle restrizioni sull’oggetto del contratto: il contratto, infatti, dovrà essere riconducibile a progetti specifici. Il progetto non potrà consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente o nello svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi (individuabili dai CCNL). L’individuazione di uno specifico progetto funzionalmente collegato a un determinato risultato finale, nella descrizione del progetto, costituisce elemento essenziale per la validità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, la cui mancanza determina la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Entra in gioco anche la presunzione di subordinazione, ovvero, i progetti sono considerati rapporti subordinati nel momento in cui le medesime attività vengano svolte da lavoratori dipendenti della committente.

Per quanto riguarda, invece, l’individuazione del compenso, questo dovrà essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro eseguito e non potrà essere inferiore ai minimi stabiliti, per mansioni equiparabili, dai contratti collettivi.

Viene riconosciuta al committente la possibilità di recedere dal contratto prima della naturale scadenza nel caso in cui emergano oggettivi profili di inidoneità professionale del collaboratore tali da rendere impossibile la realizzazione del progetto.

Infine, la Riforma prevede un incremento dell’aliquota contributiva pensionistica per gli iscritti in via esclusiva alla gestione separata INPS dal 26% al 33% , fino al 2018.


Lavoratori autonomi con partita IVA

Per contrastare le finte partite iva (dietro le quali si nascondono rapporti di lavoro subordinato) il testo integrale di Riforma del lavoro stabilisce dei vincoli per individuare le vere partite iva.

Le prestazioni lavorative rese da persona in partita IVA sono considerate, salvo prova contraria fornita dalla committente, rapporti di co.co.co. qualora ricorrano almeno due dei tre presupposti:

1. Collaborazione superiore a 8 mesi in un anno solare

2. Retribuzione del collaboratore che supera l’80% delle entrate annuali del collaboratore stesso

3. Collaboratore che disponga di una postazione fissa presso una delle sedi della committente

Trattandosi di un co.co.co. è necessario un progetto; se manca il progetto il contratto è considerato rapporto dipendente a tempo indeterminato.
Associazioni in partecipazione con conferimento di lavoro

I contratti di associazione in partecipazione non potranno essere, per una medesima attività, in numero superiore a tre, indipendentemente dal numero degli associanti. Sono esclusi gli associati legati da vincoli familiari (parentela entro il terzo grado, affinità entro il secondo grado). E’ prevista la presunzione di subordinazione, ovvero il rapporto sarà da considerare a tutti gli effetti lavoro subordinato a tempo indeterminato :

- in caso di violazione del numero massimo di associati;

- in assenza di effettiva partecipazione agli utili dell’impresa o in caso di mancata consegna all’associato del rendiconto economico della ditta


Lavoro accessorio (voucher)

Viene introdotto un doppio limite massimo:

- 5.000 euro nei confronti di tutti i committenti;

- 2.000 euro nei confronti dei committenti imprenditori commerciali o professionisti.

Le imprese familiari non possono più utilizzare voucher fino a 10.000 euro per anno fiscale.

I lavoratori part-time o percettori di ammortizzatori sociali non possono più lavorare mediante voucher.

L’importo del voucher non è più nominativo ma diventa orario. I buoni devono essere numerati e datati.


Convalida dimissioni

Per quanto riguarda la generalità dei lavoratori la convalida dimissioni si effettua tramite la sottoscrizione di una dichiarazione apposta in calce alla ricevuta della Comunicazione Obbligatoria di cessazione del rapporto inviata telematicamente al Centro per l’Impiego territorialmente competente. In pratica il datore di lavoro invita il dipendente, con apposita comunicazione, a convalidare le dimissioni mediante la sottoscrizione della ricevuta. Il lavoratore ha 7 giorni di tempo per convalidare le dimissioni, o eventualmente, per revocarle. In caso di mancata convalida o revoca le dimissioni, trascorsi i 7 giorni, sono considerate valide (silenzio assenso).

Per quanto riguarda, invece, le lavoratrici in gravidanza o durante i primi 3 anni di vita del bambino, la convalida va effettuata presso la Direzione Territoriale del Lavoro competente.

E’ poi prevista una sanzione per il datore di lavoro che “abusi del foglio firmato in bianco dalla lavoratrice o dal lavoratore al fine di simularne le dimissioni o la risoluzione consensuale”; a meno che il fatto non costituisca reato, tale comportamento è punito con la sanzione amministrativa di importo compreso da 5.000 a 30.000 euro; competenti alla irrogazione della sanzione sono le Direzioni territoriali del lavoro.


ASPI

Dal 1° gennaio 2013 ci sarà l’ASPI (Assicurazione sociale per l’impiego) che sostituirà le attuali indennità di mobilità e disoccupazione.

La funzione dell’ASPI è quella di fornire ai lavoratori, che abbiano perduto involontariamente il lavoro, una indennità mensile di disoccupazione.

I requisiti per ottenere l’Aspi sono:

- Stato di disoccupazione

- Almeno due anni di assicurazione e almeno un anno di contribuzione nel biennio precedente l’inizio del periodo di disoccupazione

- Esclusi: dimissioni o risoluzione consensuale del rapporto, tranne nei casi a seguito della procedura art.7 l. 604/1966


Contribuzione figurativa riconosciuta:

- Per i lavoratori di età minore ai 55 anni: massimo 12 mesi, detratti i periodi di indennità eventualmente fruiti, anche in relazione alla mini Aspi

- Per i lavoratori di età pari o superiore ai 55 anni: massimo 18 mesi, nei limiti delle settimane di contribuzione negli ultimi due anni, detratti i periodi di indennità eventualmente fruiti

L’Aspi sarà finanziato mediante un contributo aggiuntivo dell’1,4% a carico dei lavoratori con contratti di lavoro a tempo determinato.
fonte:studiocarlomussi

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